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Vincenzo Foppa in Santa Giulia (2002)

Gli Amici dell'Arte propongono una visita guidata alla Mostra allestita in Santa Giulia, dedicata a "Vincenzo Foppa, un protagonista del Rinascimento". L'appuntamento è per il giorno 15 marzo 2002. La visita sarà guidata dalla dr. Alba Duina.

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Le tre stagioni di Vincenzo Foppa

L'importante mostra bresciana è curata da Giovanni Romano dell'Università di Torino, da Mauro Natale dell'Università di Ginevra e da Giovanni Agosti dell'Università di Milano, studiosi del maestro lombardo ma anche profondi conoscitori del clima artistico e culturale in cui il Foppa si formò e operò, affiancati nell'impresa dal presidente della mostra, Michel Laclotte, e da Elena Lucchesi Ragni e da Renata Stradiotti, dei Civici Musei d'Arte e Storia di Brescia, alle quali si deve il coordinamento scientifico.

I tre curatori hanno diviso i sessant'anni circa di attività di Vincenzo Foppa (Brescia, 1430 circa-1515/16) in tre grandi stagioni, curandone una ciascuno (Romano: «Brescia alla Metà del Quattrocento», Natale: «Le opere di Vincenzo Foppa. Gli artisti del suo tempo» e Agosti: «Brescia nel primo Cinquecento»), e hanno ordinato una mostra rigorosamente cronologica, tesa proprio a ricostruire la vicenda artistica, ancora per molti versi misteriosa, di questo maestro rinascimentale ben conosciuto agli studiosi (memorabili le pagine che gli dedicò Roberto Longhi), ma poco noto invece al grande pubblico e assai sfortunato per la perdita di molte sue opere. Quanto alla linea critica della mostra, i curatori hanno ribadito che si pone nel solco tracciato da Longhi, approfondendolo e riconfermandolo, ma con alcune novità, frutto di scoperte documentali e dei restauri intrapresi di recente: così, la prima opera conosciuta del Foppa, i «Tre crocefissi» dell'Accademia Carrara di Bergamo, sinora datata 1456, dopo la pulitura ha mostrato una nuova data, 6 aprile 1450, che muta radicalmente la prospettiva dei rapporti fra il giovane pittore bresciano e i maestri a cui dovette guardare: Gentile da Fabriano, che a Brescia aveva lavorato nel primo Quattrocento per Pandolfo Malatesta, e i veneti Jacopo Bellini e i fratelli Vivarini.

 

L'influenza di Donatello e Mantegna

Al tempo della nascita di Foppa, Brescia era infatti appena passata sotto il dominio veneziano, e da allora molto era cambiato in città, sotto il profilo urbanistico e sotto quello artistico. Nelle sue chiese giungevano opere cardinali degli artisti veneti citati (esposte in mostra), mentre Padova, dove i bresciani si spostavano agevolmente, sfoggiava i capolavori di Donatello al Santo e del Mantegna nella cappella Ovetani agli Eremitani.

Foppa, già affascinato dai paesaggi di Gentile da Fabriano, rimane sconvolto dai due giganti attivi a Padova e li studia assiduamente nei suoi anni di formazione, documentati in mostra con opere sue poste a confronto con opere di questi artisti e di altri autori coevi. Ma sa impadronirsi anche dei segreti della luce tersa dei fiamminghi (conosciuti alla corte di Milano e a Genova) che, da gran viaggiatore qual è, conosce e sperimenta incessantemente. Fino all'impresa grandiosa della Cappella Portinari, singolare commistione di voci toscane (al tempo di Francesco Sforza l'arte milanese guardava a Firenze) e lombarde, riaperta nel '99 dopo dieci anni di restauri. Da allora in poi Vincenzo Foppa diventa un pittore autonomo, sicuro di sé, che non rischia più ma percorre la sua strada. Solo l'arrivo in città di Leonardo e del Bramante, con i quali pure si confronterà, conservando però la propria autonomia, gli toglierà lo scettro di primo artista della corte sforzesca e, forse, lo indurrà a tornare nella sua Brescia.

 

Tra Lombardia e Liguria

Foppa nel frattempo era stato lungamente a Pavia, con il cognato pittore Paolo da Caylina, a Genova (vi è documentato nel 1461, e la mostra riunisce per la prima volta quattro suoi «Santi» genovesi, parti di un polittico ora diviso tra San Pietroburgo e altre sedi), poi ancora a Pavia e a Milano, chiamato da Francesco Sforza a imprese prestigiose, quasi tutte perdute, e vi aveva lavorato alle vetrate della Certosa di Pavia e del Duomo di Milano. Infine sarà a Savona, dove i della Rovere (la famiglia di Sisto IV e Giulio II) gli commissioneranno poco prima del 1490 un grandioso polittico, parzialmente esposto a Brescia. Non meno preziose, poi, le pitture di devozione privata, di cui la mostra dà conto con alcuni veri gioielli, mentre l'ultima stagione, quella bresciana (dal 1489 alla morte) è documentata, nell'aggravarsi del peso fisico delle sue figure, da alcuni altri capolavori come il polittico per Santa Maria delle Grazie a Bergamo e dall'ultimo suo lavoro, lo stendardo dipinto per il paese di Orzinuovi, che chiude il percorso insieme alla più folgorante delle sue eredità: quella passata al Moretto, che dopo trent'anni di dominio tizianesco tornerà a guardare al vecchio maestro e ai suoi grigi cinerini, dipingendo le grandi ante dell'organo del Duomo Vecchio di Lovere.

 
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